Per molto tempo la fiction ci ha abituato a dividere il mondo tra buoni e cattivi. I buoni erano sempre buonissimi, i cattivi erano sempre cattivissimi.
Per noi lettori/spettatori era confortante ritrovare categorie così nette, senza sfumature, perché sapevamo subito da che parte collocarci. Il mondo poteva sembrarci un posto ordinato secondo regole chiare e precise, e in un mondo del genere non potevano che vincere sempre i buoni.
Erano rari gli esempi di eroi negativi, perché come fai a empatizzare con un assassino come Raskolnikov, con un pedofilo come Humbert Humbert, con dei violenti come i Drughi? Ci riesci un po’ se chi li ha inventati si chiama Dostoevskij o Nabokov o Burgess, ma è ovviamente più complicato.
Negli ultimi anni, però, c’è stata un’inversione di tendenza: sempre più spesso si prova a raccontare le storie dal punto di vista del cattivo o presunto tale, in modo da spiegare (e in parte giustificare) i motivi che l’hanno portato a commettere azioni contrarie alla legge e alla morale pubblica.
È così per Walter White di Breaking Bad, per la Malefica di Maleficent, per il Joker di Joker. Tutti quanti agiscono al di là del bene e del male perché in qualche maniera costretti dalla situazione economica, familiare, sociale. Ma nessuno di loro, visto attraverso i suoi occhi, si considera “il cattivo della storia”. Quasi sempre si considera “la vittima della storia”.
Ecco, questo ribaltamento di prospettiva è molto interessante per capire cosa pensano le persone vere, quelle che incontriamo tutti i giorni, quelle che dettano le notizie di cronaca e quelle che fanno scrivere la storia. Se noi abbiamo sempre dato per scontato che i buoni sappiano di essere stati incaricati (magari loro malgrado) di mettere le cose a posto, mentre i cattivi cercano di creare scompiglio e lo facciano per il gusto di farlo, con la consapevolezza di essere dalla parte del torto (segue risata isterica), la verità è un’altra.
La verità è che tutti, da una parte e dall’altra, pensano di essere i buoni della storia, e che i cattivi siano “gli altri”.
E che come ci spiega il Tao non esistono affatto i buoni buoni e i cattivi cattivi, ma c’è sempre qualcosa di buono in ogni cattivo, e qualcosa di cattivo in ogni buono. Non a caso questa divisione dualistica bene-male è prettamente occidentale, mentre lo Yin e lo Yang sono concetti orientali.
Da qui si potrebbe finire a parlare della complessità, un tema molto in voga in questo periodo. Ma diversi hanno già sottolineato che “complessità is the new benaltrismo”.
Vero. Non mi permetterei mai di paragonare le ragioni di oppressori e oppressi, di invasori e invasi. Dire che Zelensky e Putin sono la stessa cosa è un’offesa al buon senso. Perché magari Zelensky può non starti simpatico per mille ragioni, compreso il fatto che doppiasse l’orsetto Paddington, ma mettere le sue colpe sullo stesso piano di quelle di un dittatore che sta portando tutti quanti sull’orlo della Terza guerra mondiale è un esercizio che compete giusto ai portavoce del Cremlino.
Quello che voglio evidenziare in questo post è che proprio come Joker e come tutti quelli che abbiamo sempre catalogato tra i cattivi, nemmeno Putin si considera tale. Quando il presidente americano Biden gli dà del “criminale di guerra” o del “macellaio”, Putin non se la ride sotto i baffi, tutto goduto. Anzi, proprio per niente. Si risente. Nella sua visione (certo distorta) lui è il buono e i cattivi sono quelli che difendono i valori occidentali.
E credo che non si possa aspirare alla pace se prima non si considera questo punto fondamentale.
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