Io e Platini: due dispettosi fuorilegge

da | Mar 26, 2019 | calcio | 0 commenti

Ci sono partite che ti rimangono nel cuore e nella mente, ma al contrario dei film è difficile che ti capiti l’occasione di rivederle dopo molto tempo.
Visto che YouTube è una vera miniera, ho deciso di cercare quelle più significative e guardarmele con gli occhi di adesso, anche se so già come sono finite…

La mia prima scelta è stata Juventus-Porto, finale di Coppa delle Coppe 1983-84. Una partita che mi rimanda a un momento particolare della mia vita: il 16 maggio 1984, tre giorni prima del mio settimo compleanno, ero ricoverato al Maria Vittoria per essere operato di adenoidi.

Era il primo anno che seguivo il calcio, l’anno della prima elementare, del ventunesimo scudetto bianconero e dell’amore incondizionato per Le Roi Michel. Giravo col suo santino, e per la sua figurina plastificata ne avevo sacrificate quaranta.

La tanto attesa serata della finale di Coppa delle Coppe mi ero ritrovato mio malgrado chiuso in un ospedale (non ho mai capito se i miei sapessero o meno che quel giorno mi avrebbero ricoverato, ma di sicuro non lo sapevo io). Un ospedale che aveva regole rigide come una galera: niente tv e luci spente alle otto di sera.

La situazione appariva disperata. Non avrei visto la partita e mi sarei perso la prima finale della mia vita (quella dell’anno prima l’avevo mancata per pochi mesi, e visto il risultato mi ero risparmiato la prima di tante delusioni relative alla – fu – Coppa dei Campioni).

Ma per fortuna la mia compagna di camera, pur essendo una femmina, era appassionata quanto me e suo padre era riuscito a introdurre clandestinamente un televisore. “Stasera la partita ce la vediamo”, avevano detto.

E così, alle otto in punto, quando erano passati per il controllo, avevamo nascosto il televisore e spento le luci. Appena la porta si era richiusa avevamo riacceso tutto e alle otto e un quarto la partita era cominciata, con la telecronaca di Bruno Pizzul a volume bassissimo.
La formazione era quella classica di quell’anno e che potrei recitare come un mantra: Tacconi Gentile Cabrini Bonini Brio Scirea Vignola Tardelli Rossi Platini Boniek. Di inconsueto c’erano le maglie gialle con bordi blu che sarebbero rimaste nella storia.

La partita l’abbiamo vista in silenzio, abbiamo esultato (quasi) in silenzio ai gol di Vignola e di Boniek, abbiamo esultato un po’ meno in silenzio al fischio finale perché ormai potevano anche spegnerci tutto, tanto la Coppa era nostra.

Mi ero completamente dimenticato dell’operazione e ancora non sapevo che avrei preoccupato tutti perché sembravo non risvegliarmi dall’anestesia. Non sapevo che il dottore mi avrebbe chiamato e richiamato, ripetendomi il nome di Platini. Non sapevo che quel suono avrebbe compiuto un miracolo.

Ma non mi avrebbe stupito perché Platini di miracoli se ne intendeva e ogni volta che toccava il pallone era come se si accendesse una luce. Ogni tocco, una pennellata di Caravaggio. Sarò di parte (e lo sono, e lo sarò sempre) ma un altro giocatore come Platini io non l’ho mai visto. Geniale al limite dell’irridente, dispettoso pure al momento del fischio finale quando con un salto aveva rubato il pallone all’arbitro.

Ecco, la sera della partita mi ero avvicinato, almeno un po’, al mio mito: eravamo due dispettosi fuorilegge.

Rivedere questa partita dopo trentacinque anni fa un effetto strano ma sempre meraviglioso.
Cose sparse che mi hanno colpito: Pizzul che dice che Scirea era importante non solo come giocatore ma anche per la sua caratura umana (è una cosa che adesso si ripete spesso, ma un conto è dirlo dopo la sua tragica fine, un altro è dirlo mentre era in attività); il comportamento misurato dei giocatori, anche se si trattava di una finale, senza scenate quando venivano colpiti o quando l’arbitro prendeva una decisione sbagliata (a un certo punto non viene dato il vantaggio a Platini in una chiara azione da rete ma nessuno si lamenta più di tanto); la telecronaca che se ne frega della scaramanzia (Pizzul che parla di vittoria della Juve a dieci minuti dalla fine e poco prima di un’occasione per il Porto) e ha un tono meno iperbolico di quelle di oggi: i gol erano gol, non goooooooooooooooooool, e pure il fischio finale scatena un entusiasmo contenuto.

Io però me la sono goduta oggi come allora!

Juventus Porto 2-1
Andrea Malabaila

Andrea Malabaila

Sono nato a Torino nel 1977. Ho pubblicato il primo romanzo a ventitré anni e da allora il vizio della scrittura non mi ha più abbandonato. Fino a qui i romanzi sono sette: “Quelli di Goldrake” (Di Salvo, 2000), “Bambole cattive a Green Park” (Marsilio, 2003), “L’amore ci farà a pezzi” (Azimut, 2009; Clown Bianco, 2021), “Revolver” (BookSalad, 2013), “La parte sbagliata del paradiso” (Fernandel, 2014) e “Green Park Serenade” (Pendragon, 2016), “La vita sessuale delle sirene” (Clown Bianco, 2018), “Lungomare nostalgia” (Spartaco, 2023).
Nel 2007 ho fondato Las Vegas edizioni, di cui sono Sindaco, direttore editoriale, oscuro burocrate e facchino.
Insegno Scrittura Creativa alla Scuola Internazionale di Comics di Torino.
Nella prossima vita voglio essere l’ala destra della Juventus Football Club, nella precedente avrei voluto essere uno dei Beatles.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *