Miti da sfatare sulla pubblicazione

da | Ott 3, 2017 | Sulla scrittura | 8 commenti

Come probabilmente sapete, oltre a scrivere dirigo una casa editrice e uno dei miei compiti (oltre a quelli meno gratificanti di burocrate e trasportatore di scatole) è quello di leggere i manoscritti. Perché sì, i libri che vengono pubblicati da una casa editrice da qualche parte devono pur arrivare e qui sfato il primo mito: non è vero che gli editori non leggono i manoscritti. Almeno, non sono presente nelle sedi degli altri editori e quindi non so cosa succeda altrove, ma posso assicurare che quello che arriva a Las Vegas viene letto e valutato. Tutti i libri che abbiamo pubblicato (fin qui una quarantina) ci sono stati spediti e noi li abbiamo letti e apprezzati. Nessuno ha pubblicato perché era iscritto alla massoneria (anche se al Salone abbiamo lo stand vicino) o perché abbiamo ricevuto raccomandazioni, minacce o teste di cavallo nel letto.

Per cui provo un certo fastidio quando mi sento raccontare la solita favoletta su come si fa (o si farebbe) a pubblicare in Italia. È vero che c’è aria di complottismo ovunque, ma almeno nel campo editoriale certe convinzioni dovrebbero cadere di fronte all’evidenza.
Non è così, purtroppo.
L’altro giorno ho letto una lettera di presentazione allegata a un manoscritto che era la summa di tutte queste convinzioni fasulle e autoassolutorie.

In sintesi, l’aspirante autrice afferma:

  1. Che non è vero che prima o poi un buon libro troverà la sua strada (e il suo editore). Tutto ciò va considerato “una bella favola”.
  2. Che nonostante scriva da parecchi e abbia vinto una serie di premi letterari (segue dettagliatissimo albo d’oro), è impossibile “fare il salto” e veder pubblicato un romanzo.
  3. Che le uniche proposte di pubblicazione sono quelle degli editori a pagamento.
  4. Che le altre case editrici non rispondono e probabilmente – eccola lì – “neanche leggono”.
  5. Che è vero che alle case editrici arrivano tanti manoscritti anche privi di valore, ma nemmeno “tutti i volumi presenti in libreria hanno un valore letterario”.
  6. Che non si capisce perché, allora, loro sì e lei no.
  7. Che a pensarci, però, forse si capisce: “in Italia c’è sempre bisogno di una spinta”.
  8. Ed è meno rischioso puntare su un Nome Famoso che su una sconosciuta.
  9. E – di nuovo! – “non si ha la voglia di aprire un manoscritto con un nome sconosciuto che arriva con il resto della posta”.

A parte la poca lungimiranza di mandare un pippone del genere a chi dovrebbe leggerti, questi punti si possono facilmente smontare in questa maniera: nessuno, neanche Stephen King, è nato Stephen King. Tutti hanno iniziato da perfetti sconosciuti. Poi, certo, una volta che sei diventato King ti si aprono i portoni e puoi pubblicare anche la lista della spesa, ma nessun editore si lascerebbe scappare un capolavoro solo perché è scritto da tale Pippo Pompelmi. Seconda cosa, è vero che le librerie sono piene di libri scritti da gente di successo, presentatrici, cantanti, comici, calciatori e youtuber. Ed è vero che spesso il valore letterario di questi titoli è nullo, ma in quel caso la pubblicazione dipende unicamente da fattori commerciali e non letterari. E inoltre: i libri di Barbara D’Urso, di Antonio Cassano e di [Nome strano di youtuber a caso] non li pubblicano di certo né Las Vegas né altre piccole case editrici. Non abbiamo il potere economico né l’appeal per farlo e basterebbe dare un’occhiata al nostro catalogo per verificare che non abbiamo Nomi Famosi (quantomeno non a livello di massa). Il che vuol dire che abbiamo aperto i manoscritti di gente sconosciuta, li abbiamo letti, apprezzati e infine pubblicati. Senza chiedere contributi economici.

Certo, rimane il dubbio che questi autori fossero dei grandissimi raccomandati, che abbiano pubblicato soltanto perché amici intimi di Berlusconi o cugini di terzo grado di Marchionne o aspiranti scrittrici iscritte al mio harem personale. Anche se vi assicurassi che non è così, nella mente di qualcuno questo dubbio rimarrebbe comunque. E allora è giusto lasciarglielo credere, dare un alibi a chi ne desidera uno. Io stesso ho pubblicato quello che ho pubblicato soltanto perché sono nipote di Mubarak. Adesso lo sapete.

[foto: Mike Tinnion]

Andrea Malabaila

Andrea Malabaila

Sono nato a Torino nel 1977. Ho pubblicato il primo romanzo a ventitré anni e da allora il vizio della scrittura non mi ha più abbandonato. Fino a qui i romanzi sono sette: “Quelli di Goldrake” (Di Salvo, 2000), “Bambole cattive a Green Park” (Marsilio, 2003), “L’amore ci farà a pezzi” (Azimut, 2009; Clown Bianco, 2021), “Revolver” (BookSalad, 2013), “La parte sbagliata del paradiso” (Fernandel, 2014) e “Green Park Serenade” (Pendragon, 2016), “La vita sessuale delle sirene” (Clown Bianco, 2018), “Lungomare nostalgia” (Spartaco, 2023).
Nel 2007 ho fondato Las Vegas edizioni, di cui sono Sindaco, direttore editoriale, oscuro burocrate e facchino.
Insegno Scrittura Creativa alla Scuola Internazionale di Comics di Torino.
Nella prossima vita voglio essere l’ala destra della Juventus Football Club, nella precedente avrei voluto essere uno dei Beatles.

8 Commenti

  1. Anna Lavatelli

    Il vero inghippo non è la selezione tra sommersi e salvati. Non ho mai pagato il pizzo per pubblicare, e non ho mai avuto ‘santi in paradiso’. Però è tristemente vero che le strategie del marketing spingono o lasciano in ombra i titoli pubblicati. I libri serial campano, gli altri spesso non la scampano, tranne i bei libri che trovano buoni lettori.

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    • Andrea

      Verissimo, però qui mi riferivo solamente alla pubblicazione, non di quello che succede dopo.
      Più che altro io mi chiedo se esistano davvero strategie di marketing, perché mi sembra che spesso i grandi editori buttino lì una serie di titoli e aspettino che succeda qualcosa. E in questo modo sì che vincono i libri che hanno in copertina la faccia del Nome Famoso o banalmente quelli che riescono a colonizzare più spazio in libreria.

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  2. Anna Lavatelli

    Il vero inghippo non è la selezione tra sommersi e salvati. Non ho mai pagato il pizzo per pubblicare, e non ho mai avuto ‘santi in paradiso’. Però è tristemente vero che le strategie del marketing spingono o lasciano in ombra i titoli pubblicati. I libri serial campano, gli altri spesso non la scampano, tranne i bei libri che trovano buoni lettori.

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    • Andrea

      Verissimo, però qui mi riferivo solamente alla pubblicazione, non di quello che succede dopo.
      Più che altro io mi chiedo se esistano davvero strategie di marketing, perché mi sembra che spesso i grandi editori buttino lì una serie di titoli e aspettino che succeda qualcosa. E in questo modo sì che vincono i libri che hanno in copertina la faccia del Nome Famoso o banalmente quelli che riescono a colonizzare più spazio in libreria.

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  3. giusypullara

    Se nel mio corpo avessi spazio a sufficienza, mi tatuerei ogni singola parola di questo articolo, perché infonde speranza negli aspiranti autori, come me, che si ritrovano a godere della stessa fama (o forse anche meno) di Pippo Pompelmi e spesso si scoraggiano, ragionando da un punto di vista editoriale. Dunque: grazie!
    Detto questo, mi chiedo quale sia l’attinenza delle affermazioni della suddetta autrice con la lettera di presentazione, o magari sono io che non ho ancora capito come si scriva. L’ammiro (si fa per dire) soprattutto per la faccia tosta con cui preparato questo bel minestrone di luoghi comuni e insinuazioni. Leggerlo ha provocato una leggera indigestione in me che sono un’ (aspirante) autrice, figuriamoci cosa deve aver causato in un editore che lavora sodo e si ritrova davanti a questo concentrato di polemiche.

    Rispondi
    • Andrea

      Grazie Giusy! In effetti non è così che dovrebbe essere scritta una lettera di presentazione. La sobrietà vince sempre. Il vittimismo mai. Dopo una lettera del genere, è difficile avere una buona disposizione d’animo nei confronti del manoscritto che si andrà a leggere…

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  4. giusypullara

    Se nel mio corpo avessi spazio a sufficienza, mi tatuerei ogni singola parola di questo articolo, perché infonde speranza negli aspiranti autori, come me, che si ritrovano a godere della stessa fama (o forse anche meno) di Pippo Pompelmi e spesso si scoraggiano, ragionando da un punto di vista editoriale. Dunque: grazie!
    Detto questo, mi chiedo quale sia l’attinenza delle affermazioni della suddetta autrice con la lettera di presentazione, o magari sono io che non ho ancora capito come si scriva. L’ammiro (si fa per dire) soprattutto per la faccia tosta con cui preparato questo bel minestrone di luoghi comuni e insinuazioni. Leggerlo ha provocato una leggera indigestione in me che sono un’ (aspirante) autrice, figuriamoci cosa deve aver causato in un editore che lavora sodo e si ritrova davanti a questo concentrato di polemiche.

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    • Andrea

      Grazie Giusy! In effetti non è così che dovrebbe essere scritta una lettera di presentazione. La sobrietà vince sempre. Il vittimismo mai. Dopo una lettera del genere, è difficile avere una buona disposizione d’animo nei confronti del manoscritto che si andrà a leggere…

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