Oggi Proust scriverebbe col computer

da | Mar 6, 2018 | Sulla scrittura | 0 commenti

Di recente ho letto un libro molto carino scritto da Alain de Botton e intitolato Come Proust può cambiarvi la vita. Chi mi conosce lo sa: sono un grande estimatore di Marcel Proust. Eppure, pur avendo letto parecchio su di lui, anch’io mi ero fatto un’idea distorta riguardo alla persona che era.
Per dire, spesso a Proust viene naturale associare la parola snob. Ma la verità è che era tutt’altro che snob. Anzi, spesso se la prendeva con un diffuso snobismo che faceva ritenere “letterari” o “artistici” certi stili e certi temi soltanto perché su questi si erano basati i maestri del passato. E lui, di contro, diceva che se nessuno aveva ancora reso letterarie o artistiche le nuove invenzioni tecnologiche era soltanto per una sorta di pigrizia mentale, quella stessa pigrizia mentale che fa ripetere ciò che è già stato detto e fatto nel passato, mentre ciò che è nuovo viene considerato poco interessante o addirittura demonizzato. Ma continuare a ripetere sempre i soliti stilemi vuol dire abdicare al proprio punto di vista appoggiandosi a quello di qualcun altro, esattamente come fa chi si esprime per frasi fatte ed espressioni preconfezionate.

(Tutto il libro è pieno di spunti interessanti, ma il mio post non vuole essere una recensione, per cui per ogni curiosità fareste meglio a leggerlo).

Qui mi interessa soltanto dire due parole su questo tema che mi sembra molto attuale: il modo in cui ci approcciamo alle cose nuove.
Captando i discorsi qua e là, mi sembra che continuiamo ad avere una visione molto ma molto più snob di quella di Proust. Lui avrebbe tanto da ridire su certi atteggiamenti di chiusura nei confronti del mondo che avanza e che ci offre ogni giorno nuovi stimoli che nessuno ha ancora reso “letterari” o “artistici” ma che se provassimo a guardarli per quello che sono forse ci spaventerebbero di meno.
Un esempio? Proust è stato uno dei primi parigini a farsi installare il telefono in casa, Non solo il telefono ha un ruolo importante nella Recherche, ma Proust, che usciva di casa sempre meno per i famosi problemi di salute, lo usava pure per ascoltare l’Opera (all’epoca c’era questo servizio telefonico che mi ricorda un servizio simile della Sip anni Ottanta e che ho utilizzato parecchie volte: si chiamava un certo numero e si ascoltava una fiaba registrata). Insomma, era aperto alle novità, e non credo che, se fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe mai detto che è colpa degli smartphone se la gente non legge, oppure che la televisione ci ha rincretinito tutti. Curioso com’era, avrebbe utilizzato le nuove tecnologie a suo vantaggio e avrebbe saputo renderle “letterarie”.

Considerato poi che amava scrivere a letto, senza potersi appoggiare e sommerso da centinaia di pagine riscritte a mano all’infinito, sono sicuro che avrebbe tanto apprezzato la comodità di usare un computer portatile e di poter avere a disposizione quegli strumenti potentissimi (come cancella, copia, incolla) che ci offre un qualsiasi programma di scrittura.
Pensateci, e pensate a lui, quando vi sentite tanto fighi a dire che i computer hanno ammazzato la letteratura e che una volta, ah!, era tutta un’altra storia!

Andrea Malabaila

Andrea Malabaila

Sono nato a Torino nel 1977. Ho pubblicato il primo romanzo a ventitré anni e da allora il vizio della scrittura non mi ha più abbandonato. Fino a qui i romanzi sono sette: “Quelli di Goldrake” (Di Salvo, 2000), “Bambole cattive a Green Park” (Marsilio, 2003), “L’amore ci farà a pezzi” (Azimut, 2009; Clown Bianco, 2021), “Revolver” (BookSalad, 2013), “La parte sbagliata del paradiso” (Fernandel, 2014) e “Green Park Serenade” (Pendragon, 2016), “La vita sessuale delle sirene” (Clown Bianco, 2018), “Lungomare nostalgia” (Spartaco, 2023).
Nel 2007 ho fondato Las Vegas edizioni, di cui sono Sindaco, direttore editoriale, oscuro burocrate e facchino.
Insegno Scrittura Creativa alla Scuola Internazionale di Comics di Torino.
Nella prossima vita voglio essere l’ala destra della Juventus Football Club, nella precedente avrei voluto essere uno dei Beatles.

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